EnnyHermann

Heidegger non fu un progressista (non arrivo a chiamarlo reazionario, ma certamente fu tradizionalista) e lo spirito nazionalista e sciovinista che pervade l’intera scuola filosofica tedesca moderna, concordo con te, è antifilosofico quanto indisponente. Anche il pensiero del Nostro non ne è esente, ma è come dire: prendere o lasciare, fa parte dello spirito della loro storia.
Un regime totalitario nazionalista come quello nazista ebbe bisogno di riferimenti popolari radicati, meglio se folcloristici e li trovò anche nel “völkisch”, ma non credo che questo appiglio fu indicato da Heidegger; avanzare questa ipotesi per avvalorare la tesi di una complicità fondante del Nostro col regime mi appare azzardato e, quindi, da escludere.
Compromissione, ma non fondativa, che in effetti ci fu come egli stesso ammette, ma in un modo che deve essere esaminato col suo modo e nel suo mondo.
Queste sono alcune delle risposte che usò nell’intervista allo Spiegel (“Ormai solo un Dio ci può salvare” pubblicato da Guanda e, mi pare, già consigliato da Nat tempo fa) che ho riesumato per risponderti e che ti invito a riprendere:

 “Non vedevo allora nessun’altra alternativa. Nella generale confusione delle idee e delle tendenze politiche di [trentadue] partiti si trattava di trovare una posizione nazionale e soprattutto sociale all’incirca nel senso del tentativo di Friedrich Naumann”. Prosegue incalzato dallo Spiegel che gli chiede perché non si era occupato di politica prima del rettorato “In quel tempo ero ancora completamente occupato dai problemi sviluppati in Essere e Tempo e negli scritti e conferenze degli anni successivi: problemi fondamentali del pensiero che, [indirettamente], riguardano anche questioni nazionali e sociali.” (pagg. 119-121).
Chiede lo Spiegel “Lei riteneva di poter ottenere un risanamento dell’Università insieme coi nazionalisti?” Risponde Heidegger “Non è l’espressione esatta: non <insieme coi nazionalsocialisti>, bensì: l’Università doveva rinnovarsi in base a una propria presa di coscienza e guadagnare in tal modo una stabile posizione rispetto al pericolo della politicizzazione della scienza -nel senso sopra indicato.” (pag. 122).
Chiede lo Spiegel “Lei disse nell’autunno del 1933: <Non teoremi e ‘idee’ siano le regole del vostro essere. Il Führer stesso e solo lui è la realtà effettuale tedesca dell’oggi e del domani e la sua legge>”. Risponde Heidegger “Queste frasi non si trovano del discorso del rettorato … [Mentre assumevo] il rettorato, avevo ben chiaro che senza compromessi non ce l’ avrei fatta. Le frasi citate, oggi non le scriverei più. Cose del genere non le ho più dette già nel 1934. (pagg. 123-124).
Lo Spiegel richiama una parte del contenuto di Introduzione alla metafisica del 1935 “Ciò che oggi viene spacciato in giro come filosofia del nazionalsocialismo, ma che non ha minimamente a che fare con l'[interna] verità e grandezza di questo movimento (e cioè con l’incontro della tecnica planetaria con l’uomo moderno), pesca nel torbido dei ‘valori’ e delle ‘totalità’.” Ora, le parole in parentesi sono state [da Lei] aggiunte solo nel 1953 … o queste parentesi esplicative stavano già lì dal 1935?” Risponde Heidegger “Stavano già nel mio manoscritto e corrispondevano esattamente alla concezione che allora avevo della tecnica e non ancora alla tarda interpretazione dell’essenza della tecnica come postura (Ge-stell) … Continua Heidegger poco sotto “… Nel frattempo, nei trent’anni che sono passati dovrebbe essere risultato chiaro che il movimento planetario della tecnica moderna è una potenza la cui grandezza, storicamente determinante, non può essere in alcun modo sopravvalutata. È per me oggi un problema decisivo come si possa attribuire un sistema politico – e quale – all’età della tecnica. A questa domanda non so dare alcuna risposta. Non sono convinto che sia la democrazia. (pagg. 142-144).

Converrai con me che Heidegger fu un uomo di intelligenza superiore e un filosofo di prima grandezza. Se tali ingenuità miste a intuizioni geniali furono da lui praticate, capirai bene la mia diffidenza -direi terrore! che il potere politico possa cadere in mano a un filosofo.
La frattura tra il periodo della sapienza e quello della filosofia pagana successiva è, a mio avviso, un fatto incontrovertibile. Che Heidegger abbia tentato, tra mille difficoltà, di ricomporla è un suo merito, ma ne parleremo magari dopo. Per ora mi fermo per darti la possibilità di rispondere.

 

2 Risposte

  1. È facile prendere in giro l’ideologia “völkisch”. Lo aveva capito perfettamente quel bombolotto filosofico di Adorno. Ma, come tutte le prese in giro, la presa in giro di Adorno paga il vizio di ogni presa in giro: farsi scudo con la teoria del soggetto; che ha il suo archetipo nel palcoscenico, cioè nello sberleffo alle spalle di qualcuno per la gioia di qualcun altro in platea. La modernità è sempre più intenta a istituire i diritti della terra. Si interroga, ormai a livello planetario, sui diritti della terra; ma non riconosce più alla terra il diritto fondamentale che spetta alla terra. Vale a dire il diritto di scegliere il proprio abitante. È questo che pone la reciprocità che l’ideologia “völkisch” pone in salvo. La terra chiama il suo abitante; ma l’abitante della terra si dimostra tale in quanto colui che ha risposto alla chiamata della terra. Che pone la base della poesia, cioè del canto di ringraziamento agli dèi per la bellezza del mondo, quando la bellezza del mondo è solo ciò che è stata posta in un canto. Che è quanto viene dimostrato dalle saghe islandesi tramite la “presa della terra”.
    Ma la modernità pensa la terra solo come terra dove andare. Questo perché noi intendiamo la terra solo come terra dove andare, tanto nel tempo del divertimento (tramite la forma del turista), quanto, nel tempo della necessità (terra dove chiedere asilo tramite la forma del rifugiato in tempo di guerra). Ma non pensiamo più a noi stessi come spazio aperto all’attesa della chiamata della terra.
    L’ideologia “völkisch” poneva la reciprocità fra terra e individuo. Il pensiero di Heidegger vi convergeva in quanto pensiero basato sulla reciprocità fra terra, uomini, dèi: così l’esserci poneva la domanda dell’essere; ma l’essere chiamava l’esserci come depositario di questa domanda, cioè come spazio in cui questa domanda doveva aprirsi.
    Così questa struttura escludeva il principio del soggetto. Il nazismo aveva fornito, indubbiamente solo a livello politico, quella possibilità di risposta che il pensiero di Heidegger aveva formulato a livello filosofico: la rinuncia del principio del soggetto. È in questo che io insisto su una convergenza tra pensiero di Heidegger e ideologia nazista.
    Qualunque discorso sul nazismo deve partire dalla domanda: “Che tipo di Europa è venuta fuori dalla sconfitta del nazismo?”. Sono convinto che la migliore risposta, prima che la domanda potesse essere formulata, sia stata fornita da Tolkien: «non sono del tutto sicuro che una vittoria americana a lunga scadenza si rivelerà migliore per il mondo nel suo complesso piuttosto della vittoria di –» (J.R.R. Tolkien, “La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973”, Bompiani, Milano 2001, lettera del 9/12/1943, p. 76).
    Il problema è appunto questo: “Che tipo di Europa è venuta fuori dalla sconfitta del nazismo?”. Le risposte potrebbero essere molte, ma tutte indicano una Europa che si sottomette sempre più a ciò che l’Europa non trova più motivo per identificare come straniero in casa. Ma che invece è lo straniero che – aggressivamente – occupa l’Europa. E che deve porre l’Europa davanti alla domanda su ciò che è indoeuropeo. Che è la vera identità che concerne l’Europa. Ciò con cui l’Europa deve confrontarsi in quanto straniero trovato ad abitare la propria casa è lo straniero che ha da sempre – aggressivamente – utilizzato l’Europa come terra dove andare. Lo straniero che si trova in Europa. Ma lo straniero che si trova in Europa, tanto ieri come oggi, è il semita. Il semita che vuole semitizzare il mondo, tanto nella forma del cristianesimo quanto nella forma dell’islamismo. Questo perché la razza semita è il grande pericolo dell’Europa. Stesso dio, stesse facce feroci. O l’Europa sarà autenticamente antisemita, o mai più ci sarà Europa nel mondo.

    • In varie parti la tua risposta mi ricorda l’esigenza preliminare di chiarire un punto.
      Nel penultimo commento che hai lasciato nel blog di Nat, hai derubricato l’accusa di criminalità per chi si arroga il diritto di decidere dell’esistenza di altri uomini isolando l’aspetto normativo del precetto di non uccidere, relativizzandolo. La deroga che hai richiamato il caso di guerra – ma possiamo aggiungere il caso della legittima difesa o quello delle esecuzioni di Stato- rimanda all’invenzione dei sistemi legislativi democratici che rappresenta uno degli elementi costitutivi della frattura nel pensiero di prima e di dopo Socrate. Socrate accetta la cicuta perché ciò era previsto nella legge che lui, in quanto libero cittadino di Atene, si era impegnato di rispettare.
      Ho passato parecchio tempo sui frammenti e credo di essere nel vero se non ricordo alcun riferimento di questi all’omicidio. Il motivo di questa assenza è molto semplice: la questione non si poneva perché nell’orizzonte di quel pensiero il reo veniva colpito immantinente dalla mania che lo costringeva all’autoisolamento e lo tormentava fino a consumarlo; cioè egli terminava naturalmente di essere partecipe della comunione umana per divenire ostaggio della “divinità” che ne disponeva a piacimento. I progressi della psichiatria ci consentono di disvelare, ora per allora, la divinità in una parola parascientifica che chiamiamo comunemente “sé”.
      La fuga dalla sapienza implica, tra le altre cose, la fuga dalla responsabilità personale dell’uomo che finisce tra le braccia di sistemi normativi che gli assicurano l’irresponsabilità. Per fortuna di quel pensiero aurorale sopravvivono innumerevoli tracce che ricompaiono quando l’uomo si rivolge alla Filosofia per conoscere il vero, perché non è conforme al suo statuto la ricerca dell’Essere corrispondente ad una filosofia precostituita quanto esattamente il contrario.
      Per questo, contrariamente a ciò che afferma l’ultimo Heidegger, la Filosofia non può avere fine, divenire inutile, anche quando si scontra con una configurazione dell’Essere come quella dominata dalla tecnica tanto difficile da interpretare che ancora non se ne è venuti a capo.

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